venerdì 1 giugno 2012

Disoccupazione zero? Possibile se …

Disoccupazione zero possibile se agli attuali occupati fosse diminuito di 36 minuti l’orario di lavoro giornaliero !
Quella che espongo  è solo una idea (per di più non originale), al momento essenzialmente teorica anche se  basata su presupposti quantitativi certi.
Per me è anche una buona idea, perché potrebbe cambiare radicalmente la situazione occupazionale in Italia.
Presupposti essenziali  per renderla operativa sono  una presa di coscienza collettiva, una convergenza virtuosa  di tutte  le forze sindacali, imprenditoriali e politiche (o di una loro importante maggioranza).
E l’accordo di tutti  (o quasi)   i lavoratori.   
Presupposti, si dirà,  altamente improbabili nell’Italia di oggi e quindi l’idea è quasi certamente destinata a restare pura utopia.
Ma non dispero,  parchè la teoria  ci  dice addirittura che gli eventi con probabilità uguale a zero non sono impossibili.

  1. Occupati, disoccupati e NEET
Lo spunto iniziale per riflettere viene dalle cifre che seguono, peraltro ampiamente note, riferite alla situazione italiana di fine marzo 2012:
posizione professionale
numero
% su totale
occupati
22.947.000
90,15
disoccupati
2.506.000
9,85
occupati + disoccupati
25.453.000
100,00

 A ciò si aggiunge l’ulteriore informazione sulla disoccupazione giovanile che, sempre a fine marzo 2012, è fra le più alte di sempre: secondo dati OCSE  il 35,9 % dei giovani che vorrebbero un lavoro non riesce a trovarlo.
Inoltre è necessario considerare che sono  oltre 2 milioni e 200 mila i giovani italiani fra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, cioè i cosiddetti "NEET",  l'acronimo che riassume la definizione inglese: Not in Education, Employment or Training (cfr, fra gli altri, Ilvo Diamanti).

  1. Ormai preclusa l’espansione del lavoro  
Il  secondo stimolo è mutuabile  dalle analisi compiute dagli specialisti: la maggior parte degli studiosi concorda che le società economicamente mature hanno raggiunto uno stadio al di la del quale la possibilità di attuare uno sviluppo che passi attraverso una significativa espansione del lavoro è definitivamente preclusa. (Vedi, fra gli altri, pag 23 di E. Zucchetti “La disoccupazione”)

  1. Gli italiani lavorano più ore di tutti
La  terza  considerazione ce la offre l’Ufficio statistico del Dipartimento del lavoro americano. Secondo i suoi dati  gli italiani, nel 2010, hanno lavorato più di statunitensi, inglesi, spagnoli, francesi e ben 359 ore in più dei tedeschi (il 25% in più). I numeri sono stati  diffusi da The Big Picture, uno dei blog economici più seguiti al mondo animato dall’economista Barry Ritholtz
.
Dall’informazione USA (i cui dati sono riportati  anche  qui) è possibile trarre questa graduatoria:
Paese
Media ore annue lavorate nel 2010
Media ore settimanali (per ipotesi 48 settimane annue di lavoro)
Italia
1.778
37,0
Usa
1.741
36,3
Regno Unito
1.647
34,3
Spagna
1.590
33,1
Francia
1.439
30,0
Germania
1.419
29,6

Si tratta ovviamente di dati quantitativi che non considerano la produttività ma soltanto il monte ore complessivo diviso per il numero totale del personale impiegato.

  1. Keynes: ridurre orario o scontro disoccupati vs. occupati
L’illuminazione finale e lo spunto per sviluppare l’idea ce la offre un grande economista del ‘900:  nel 1930 –nel pieno della più importante crisi economica  del XX secolo, la “grande depressione” che sconvolse l’economia mondiale-  J. M. Keynes nel saggio “Prospettive per i nostri nipoti” fra l’altro così scriveva : “… se entro due generazioni non verrà ridotto l’orario di lavoro a tre ore o non verrà accorciato l’orario settimanale a quindici ore, ci sarà uno scontro epocale tra disoccupati giovani e occupati adulti”.
Parole, queste ultime, profetiche e oggi -a parer mio- più che mai attuali e valide.

  1. Il rilancio di un motto
Dunque, in sostanza: lavorare (e, evidentemente, guadagnare) un pò meno, ma lavorare tutti !
Un ritorno, quindi, del motto lanciato dal filosofo Andrè Gorz che  era diventato uno slogan di moda dei movimenti post sessantottini e che di recente è stato ripreso da più parti : solo per citarne alcuni, dal sociologo De Masi,  da un autorevole think-tank di economisti britannici, la New Economics Foundation (NEF), che ha organizzato un seminario sul tema in collaborazione con un Centro di Analisi  della London School of Economics e persino  dal Blog di Beppe Grillo.
Ma è possibile ? Certamente si e cercherò qui di dimostrarlo.

  1. Le concrete possibilità di applicazione
Se si lavora sulle cifre sin qui fornite si può subito sviluppare il seguente ragionamento: se in Italia sono attivi 22 milioni e 947 mila persone che in un anno lavorano, in media, 1.778 ore, cioè –come abbiamo calcolato- poco più di 37 ore ogni settimana (e questo, mi sembra, che sostanzialmente torna) ciò anche significa che in totale in Italia in un anno si lavorano 40.799.766.000  ore. 

E, attenzione, se questo monte ore totale lo distribuissimo non solo sugli attuali occupati ma anche sugli attuali disoccupati, cioè su un totale di 25.453.000 persone, otterremmo che l’intera forza lavoro (occupati più disoccupati) potrebbe/dovrebbe lavorare 33,4 ore a settimana, cioè circa 3 ore e mezzo in meno rispetto ad oggi.
Si potrebbe cioè  passare da questa situazione, l’attuale, con disoccupati:
posizione professionale
numero
Ore lavorate
Per settimana
Per anno
Da tutti, In totale
occupati
22.947.000
37,04
1.778,0
40.799.766.000,00
disoccupati
2.506.000
0
0
0
occupati + disoccupati
25.453.000


40.799.766.000,00

a questa, la possibile, di piena occupazione:
posizione professionale
numero
Ore lavorate
Per settimana
Per anno
Da tutti, In totale
occupati
22.947.000
        33,39
    1.602,9
   36.782.785.149,18
ex disoccupati
2.506.000
        33,39
    1.602,9
      4.016.980.850,82
occupati + ex disoccupati
25.453.000


40.799.766.000,00

Il banale esercizio numerico dimostra quindi che si potrebbe azzerare la disoccupazione con la riduzione per tutti  gli attuali occupati dell’orario di lavoro di meno del 10%, esattamente una diminuzione del 9,85%, cioè di 3,6 ore settimanali, poco più di 36 minuti al giorno se si lavora su 6 giorni e poco  più di 43 minuti al giorno se si lavora su 5 giorni. 
E, attenzione, in questa simulazione dopo la riduzione le ore di lavoro medie settimanali di ciascun italiano (33,4) sarebbero (cfr. sopra la  2^ tabella) solo di poco inferiori a quelle del Regno Unito e ancora superiori  a quelle di Spagna, Francia e Germania.
Ma l’Italia avrebbe IMPIEGATO TUTTI GLI ATTUALI DISOCCUPATI e saremmo in situazione di piena occupazione !

Ovviamente, la riduzione di orario e l’ingresso nel ciclo produttivo di tutti gli ex disoccupati  dovrebbe avvenire a parità –per il “sistema Italia” - di costo totale del lavoro.
Quindi, si dirà, alla riduzione di ore lavorate si dovrebbe agganciare la riduzione di eguale percentuale (-9,8%) della retribuzione  di tutti gli attuali occupati.
Ma potrebbe non essere esattamente così. Infatti, coeteris paribus, c’è da tener presente che:
a)       Il costo dei 2,5 milioni di nuovi  occupati, che verrebbero ovviamente inquadrati a categorie e gradi contrattuali iniziali, sarebbe certamente inferiore a quello dell’ ipotetico taglio (-9,8%) del monte salari/stipendi degli attuali occupati.
b)        Per gli attuali occupati il netto in busta paga diminuirebbe di una % inferiore a quella del lordo, tassato con l’aliquota marginale più alta e, in conseguenza, la tassazione media comunque diminuirebbe,.
c)       La massa retributiva che si sposterebbe dagli attuali occupati agli ex disoccupati genererebbe, con elevata probabilità,  un aumento dei consumi (e quindi anche delle imposte indirette), attivando un circuito virtuoso di crescita e sviluppo.
d)       La produttività oraria del lavoro aumenterebbe almeno per due motivi. Innanzitutto perché il lavoro orario dei nuovi assunti (ex disoccupati) costa meno e quindi, anche a parità di produzione fisica con i già occupati, il loro “valore aggiunto” sarebbe superiore. Inoltre, se è vera la teoria della produttività decrescente in funzione del tempo di lavoro giornaliero, la diminuzione dell’orario agli attuali occupati toglierebbe un periodo a produttività marginale più basso e quindi la produttività  media aumenterebbe.
E si potrebbe continuare …
 Attuare l’idea esposta sarebbe una rivoluzione pacifica di portata storica.   
Ma  sopire gli egoismi individuali è ancora possibile ? Il tempo sembra quello giusto. Del resto, se non ora, quando ?

9 commenti:

  1. “Illusione, dolce chimera sei tu… che fai sognare e sperare …”
    Era il refrain di un brano musicale del 1940, ma ben si adatta alle ipotesi di intervento suggerite.
    Chiarisco che a me appaiono molto giuste, probabilmente le uniche praticabili per vincere la piaga della disoccupazione e, in particolare, di quella giovanile.
    Ma chi ora lavora non vorrà certamente cedere nulla, così come i sindacati (difendono solo chi lavora …), mentre chi governa (anche se ora sono tecnici “illuminati”) non avrà la forza di adottare un provvedimento del genere. E chi glielo approva?
    L’egoismo, cioè “l’esclusivo amore per se stesso che porta a non tener conto delle esigenze altrui” è –soprattutto in tempi di crisi come questi- imperante in Italia e nel Mondo e, come ho letto da qualche parte, “è l'unico movente delle azioni umane”.
    Comunque, “spes ultima dea” …
    Goffredo S.

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    1. Caro Amico Lettore, a volte i sogni, le speranze, possono realizzarsi.
      Io non sono ne pessimista ne ottimista, sono realista. E la realtà socioeconomica ci mostra situazioni drammatiche che –penso- nessun provvedimento “ordinario” potrà radicalmente cambiare.
      Centomila, duecentomila, mezzo milione (!!!) di nuovi posti di lavoro “originati” dalla nuova regolamentazione del lavoro e dai vari “decreto sviluppo”? Bene, benissimo, ma non sarebbero risolutivi, i problemi della disoccupazione resterebbero !
      Se chi deve decidere non comprende che è tempo di provvedimenti straordinari, che è necessario “guardare oltre” il breve periodo (il voto alle prossime elezioni ?), che è necessario un “patto” epocale, storico, rivoluzionario, fra chi lavora e chi il lavoro lo cerca e non lo trova, fra “protetti” e non, “privilegiati” e non (e così via), è facile pronosticare conseguenze inimmaginabili, guai seri … Sbaglio ? Speriamo, perchè come giustamente dice Lei “spes ultima dea” …

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  2. Veramente un ostacolo ancora più grande è sempre venuto dal lato dei datori di lavoro, per i quali indubbiamente l'operazione non sarebbe a costo zero, ma neanche - forse - così costosa come dicono. C'è anche una pigrizia culturale nel rimanere ancorati rigidamente a certi modelli.
    Mara

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    1. Carissima Mara, è certamente vero, posso ben immaginare che i datori di lavoro potrebbero fare resistenza, attivare –come sempre fanno- le loro lobby, alzare barricate.
      Perché, in effetti, gestire una diminuzione di orario di circa il 10% degli attuali dipendenti e portare dentro le aziende il 10% in più di lavoratori comporterebbe degli aggiustamenti al processo produttivo.
      Aggiustamenti piccoli per le aziende piccole (ogni 10 dipendenti entrerebbe un nuovo assunto e così in scala), un pò più complessi -comunque risolvibili- per le medie e le grandi. Ma questo potrebbe costituire uno stimolo, l’occasione, per rivedere criticamente l’organizzazione e migliorarla …
      Ed è da qui che potrebbero nascere gli unici costi a loro carico, non ne vedo altri. Ma gli imprenditori dovrebbero anche considerare che con l’operazione si potrebbe attivare una fase di sviluppo, potrebbe crescere la produttività, aumentare il fatturato, ecc.
      Ma magari arrivassimo a questa fase !

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  3. Bellissima idea, ma per attuarla si presuppone un modello di “società solidale” che –è evidente- non esiste.
    Ma sono anche io convinto che è l’unica strada percorribile e che la maggior parte degli Italiani sarebbe favorevole.
    Dunque, per fare un passo in avanti, sulla base delle informazioni fornite nel post (grazie, molto chiare!) basterebbe un semplice provvedimento legislativo del tipo:
    “1. L’orario di lavoro settimanale è ridotto del xy per cento per tutti con effetto dal aa/bb/20cc.
    2. La retribuzione lorda individuale è, in conseguenza, ridotta del xy per cento per tutti con effetto dal aa/bb/20cc.
    3. I contratti collettivi, aziendali, individuali di ogni ramo, settore e categoria sono modificati in coerenza con gli artt. 1 e 2.
    4. Tutti le Entità, pubbliche e private, sono obbligate ad assumere nuovo personale in misura pari all’ xy per cento del personale occupato alla data del aa/bb/20cc.
    5. Il Ministero del Lavoro, attraverso i propri Ispettorati, vigilerà sulla corretta e puntuale applicazione del presente provvedimento”.
    E’ chiaro che il decreto dovrebbe prevedere un congruo periodo di tempo fra emanazione ed entrata in vigore per consentire a tutti di organizzarsi.
    E’ altresì auspicabile che lo Stato preveda forme di “aiuti” (fiscali o previdenziali) sia per i lavoratori che per i datori di lavoro.
    Presidente Monti, Ministro Fornero, Ministro Passera, Organizzazioni Sindacali dei Datori di Lavoro e dei Lavoratori, Partiti Politici, che aspettate ?
    Homo Oeconomicus

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  4. Il Ministro Corrado Passera, intervenuto oggi 3 giugno 2012 al Festival dell’Economia di Trento così si è espresso: “in Italia ci sono, tra inoccupati che non cercano lavoro, disoccupati, cassintegrati e sotto-occupati, 7 milioni di persone, a cui si possono collegare quattro famigliari a testa, che vivono la crisi; e significa 28 milioni di persone".
    Passera avrebbe aggiunto che questa è "una situazione che noi del governo Monti viviamo con ansia”.
    Illustre Ministro, pensi come la vivono i 28 milioni di Italiani a cui Lei fa riferimento !
    Mi sembra quindi non auspicabile ma NECESSARIO “LAVORARE MENO MA LAVORARE TUTTI” !
    Amico “Homo Oeconomicus” cosa aspettano ? Forse suicidi di massa o il sangue per le strade !
    Giovanni d'A.

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  5. Provo solo qualche spunto. Se vogliamo continuare a produrre le stesse merci l'occupazione è destinata a diminuire, stante l'aumento della produttività. Marx diceva che il capitalismo era destinato a crisi di sovrapproduzione sempre più gravi. Senonché i bisogni sono infiniti e lo sviluppo culturale dovrebbe farne sorgere di nuovi. Ma questo sviluppo culturale c'è stato ed in modo adeguato? Io ci ho lavorato nella scuola e posso dire di no. Stampa, TV pubblica, cinema, libri coinvolti in un sistema perverso si sono dovuti adeguare. Ed ora stiamo a cercare di dividerci le sempre più piccole briciole riducendo l'orario di lavoro per far posto a tutti. Ridurre selettivamente l'orario di lavoro può essere un modo per permettere ai lavoratori maggiore libertà, ma non ne vedo altri vantaggi. I sindacati hanno commesso gravi errori non facendo grandi battaglie sulla qualificazione e riqualificazione reale dei lavoratori e sul disastro sociale delle raccomandazioni. Si dovrebbe ricominciare dalla scuola ma non con il ministro Profumo.

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    1. Caro Massimo,
      certamente sai che nell’ultimo decennio l’economia italiana ha perso molto terreno in termini di produttività: nel decennio 2001-2010 l’Italia (elaborazioni Istat su dati Eurostat) si colloca in fondo alla graduatoria dell’Ue per la dinamica della produttività (unico paese con il segno meno) e questa tendenza sembra continuata nel 2011 ed in questa prima parte del 2012 (cfr ultima Relazione Bankit). Quindi il problema non sembrerebbe l’aumento della produttività, che non c’è stata!
      Creare nuovi bisogni ? Mah ! Come diagnostica Cesare Romiti, “Berlusconi nei suoi governi ha sempre stimolato i bisogni e privilegiato il consumo, anche per migliorare le condizioni di vita della gente, ma quando si supera un certo livello i consumi provocano la crisi e la povertà”. E io in questa analisi sono (stranamente) d’accordo con Romiti.
      Un recente studio (che ho letto su www.sbilanciamoci.info ) ha dimostrato che per contrastare l’attuale recessione del nostro Paese e innescare il ben noto processo virtuoso “moltiplicatore-acceleratore”, parrebbe fra l’altro necessario: 1) far crescere la spesa pubblica per le infrastrutture; 2) stimolare gli investimenti degli imprenditori in attività non speculative; 3) favorire le esportazioni del “made in Italy”; 4) modificare la distribuzione del reddito a favore di stipendiati e salariati sia con retribuzioni più elevate, sia con contratti di lavoro che generino aspettative certe.
      Ma attivare queste azioni (ma non tutte sono ora possibili) e vederne gli effetti, come ben comprendi, si richiede tempo, molto tempo, non mesi ma anni. Ma, come testimoniano anche i commenti, tutto questo tempo l’Italia non sembra avercelo !
      E allora la ricetta, drastica ma concreta, che ho illustrato, applicabilissima –ovviamente a mio parere- da subito almeno ai 17,5 milioni di lavoratori dipendenti (pubblici e privati) farebbe entrare nel mondo del lavoro oltre 2 milioni di attuali disoccupati con gli effetti che ho già illustrato: aumento della produttività, aumento dei consumi, quindi della produzione, e così via.
      Ma chi lo può (o, meglio, ha il coraggio di) fare ?

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  6. its possible, i have the "brevetto" of sistem disoccupy o or D.0...for the new world..for the new era.. for the life!

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