lunedì 21 maggio 2012

De iuventute et senectute

Giovinezza  e vecchiaia, ma da Aristotele ho preso solo il titolo.
Perché qui la filosofia  si potrebbe anche  evocare, ma solo con tanta buona volontà,  in quanto saranno considerati  argomenti e contro-argomenti, forse anche razionali, su tre nuclei tematici che anche la filosofia affronta: la realtà; la condizione umana, singola e collettiva; il bene (e il male).  
Ma più che filosofare qui, al massimo,  si filosofeggia. Anche se gli argomenti sono –a mio parere- molto seri.
Perché per  il titolo di questo post avrei –forse più propriamente- potuto  anche prospettare tre interrogativi “attacco ai diritti di voto e di elettorato passivo ?” oppure “giovani contro vecchi?  o  anche, più drammaticamente,“fatwa sugli anziani ?”.
Come mai ?  Andiamo con ordine.
La premessa è nota, chiara, inattaccabile ed  ampiamente condivisa: l’Italia è uno dei paesi del mondo più gerontocratico (potere detenuto dagli anziani) del pianeta.
Siamo, del resto, ai vertici o fra i primissimi in Europa e nel Mondo per vita media, vicina agli 80 anni per gli uomini e agli 85 per le donne; per indice di vecchiaia, cioè il rapporto di composizione tra la popolazione anziana (65 anni e oltre) e la popolazione più giovane (0-14 anni),  che tende ad 1,50 (siamo al 144,5%) e per disoccupazione giovanile, che ha raggiunto  il 35,9% nel marzo 2012.
Ma siamo anche il Paese dove c’è una  classe dirigente fra le più vecchie (59 anni di età media, per i dettagli cfr: http://www.corriere.it/politica/12_maggio_17/italia-paese-istituzioni-piu-vecchie_5abc9626-9ff4-11e1-bef4-97346b368e73.shtml).
E si potrebbe continuare.
Dunque  la sintesi ddel Prof.  M. Livi Bacci ci appare  perfetta :“Pur essendo molti di meno, i giovani italiani percorrono assai più lentamente che in passato - e rispetto ai coetanei europei - le tappe che portano all'autonomia dell'età adulta. Completano gli studi, entrano nel mondo del lavoro, mettono su casa, formano la loro famiglia assai più tardi di prima. Pur vivendo bene, in larga misura grazie alle risorse dei genitori, contano poco nella società, nelle professioni, nella politica, nella ricerca, nelle imprese (cfr: http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=12653)
Se poi a ciò aggiungiamo i macigni economici che gli anziani stanno lasciando  ai giovani, cioè un debito pubblico record (che soprattutto i giovani dovranno pagare);  il costo elevatissimo, attuale e futuro, delle  pensioni (che è e sarà pagato con i contributi previdenziali dei giovani: ma a Loro la pensione chi gliela pagherà?) ; un servizio sanitario, di cui i meno giovani  sono i maggiori utenti, inefficiente e costosissimo  e la sostanziale assenza negli ultimi decenni di serie riforme strutturali,  un'altra “frase-slogan”  calza a pennello :
                                                “La nostra società è cinica come la sua élite”.
(Carlo Carboni, in http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842086024)
Se queste sono le premesse, gran parte delle recenti considerazioni, delle tesi,  di un giovane e brillante professore (Alessandro Rosina, in http://www.linkiesta.it/blogs/degiovanimento/l-anomalia-italiana-il-paese-con-le-first-lady-piu-vecchie-del-mondo ) si possono -credo- ampiamente condividere.
Rosina, “partendo dal riconoscimento pressoché unanime del fatto che troppo volte negli ultimi anni la difesa della condizioni, spesso dei privilegi, dell’oggi sono andati a scapito dell’investimento sul domani …”  afferma che  “….se vogliamo allora dare più peso al futuro, non esiste altra via che quella di fare in modo che le istanze e gli interessi delle nuove generazioni vengano prese nella giusta considerazione nell’agenda politica”.
Giusto !
Il Professore prosegue:  “ Questo implica dare più consistenza a quella componente della popolazione che al futuro è, per sua natura, più interessata, ovvero a chi vivrà maggiormente le conseguenze, positive o negative, delle scelte prese oggi. Questa componente è costituita dalle giovani generazioni, il cui peso però, si è drasticamente ridotto nel tempo
Si, ma come ? 

Ecco le Sue soluzioni: Varie proposte si possono avanzare. Tra queste c’è: l’abbassamento dei voto ai 16 anni; il voto ai genitori per i figli minorenni; la soppressione dei vincoli anagrafici per accedere al Parlamento”  e fino a qui si può discutere.
Ma il giovane demografo prosegue con  quella che potrebbe  apparire come  una vera e propria “fatwa”.
Propone infatti
Ø  la ponderazione del voto con l’aspettativa di vita residua (più futuro si ha davanti più il voto conta);
Ø  l’introduzione di un limite dell’elettorato passivo a 70 anni.
La prima  idea viene dallo stesso  Rosina e dal Prof. Balduzzi.   I due studiosi hanno metodologicamente ben strutturato e proposto che il voto degli anziani debba avere un peso inferiore a quello dei giovani in una scala che attribuisce un valore di 1,42 al voto di un ventenne e di 0,82 a quello di un ottantenne (per i dettagli e per i numerosi commenti,  cfr http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002695.html).
La seconda, esplicitamente dichiara che è … “plausibile intervenire direttamente sull’elettorato passivo: i cittadini con più di 60 anni perderebbero l’elettorato passivo (pur conservando quello attivo) contribuendo con la loro esperienza alle elezioni di candidati con voglia ed energia, ma lasciando la possibilità ai più giovani di coprire le cariche politiche più decisive per il futuro del Paese.” (cfr: http://www.datagiovani.it/newsite/2012/02/riforma-elettorale-dare-peso-ai-giovani/?fb_ref=.T6EmDy_73BE.like&fb_source=home_multiline )
Rosina ha dunque regalato 10 anni perche l’idea originaria, come sopra riportata, abbassava a 60 anni l’impossibilità di candidarsi e  viene da un “Gruppo” che vorrebbe … “rappresentare una sorta di sindacato dei giovani, un ambiente virtuale in cui dare spazio e voce ai giovani e, perché no, dare suggerimenti e presentare proposte perché il Governo centrale e quelli locali facciano di più per coloro che non solo dovranno sostenere l’economia di domani ma anche farsi carico delle problematiche di un Paese sempre più vecchio.”
Direte: scherzano.  Neanche per idea !
Le proposte stanno facendosi strada e sono state anche oggetto di un importante convegno alla Università Cattolica di Milano  il 9 maggio scorso con –fra gli altri-  Beppe Severgnini e Tito Boeri, (cfr: http://www.pianetauniversitario.com/index.php?option=com_content&view=article&id=2358%3Acome-dar-peso-al-futuro-far-contare-di-piu-il-voto-dei-giovani&catid=37%3Aseminari-e-convegni&Itemid=69).
Un breve resoconto del dibattito, con foto e materiale, lo potete trovare in Politica, più peso ai giovani in http://www.cattolicanews.it/.
Il tema posto è stimolante, dirompente, ed il dibattito perciò continuerà 
Ma, in termini filosofici siamo forse in presenza  di una “fallacia pragmatica” dove si eccede nel collegare detto e atto.
I problemi ci sono, ma queste certamente non sono azioni utili per cancellarli !
In parole più chiare,  quelle prospettate non sono soluzioni al grave malessere, alla –per dirla con Livi-Bacci- “sidrome del ritardo” che attanaglia i giovani;  se attuate, potrebbero   solo produrre un “vulnus” ai diritti degli anziani ed alla democrazia.
Come potete immaginare nella questione non sono neutrale.
Sono infatti nella fascia di età (60-74enni pari a 9,8 milioni) che viene contrapposto all’elettorato di 30 anni o meno, pari a 7,5 milioni.
E, sia ben chiaro, come tutti i miei coetanei,  tengo molto,  a figli e nipoti (e, più in generale, ai giovani)  ma anche a conservare integralmente ciò che la Costituzione garantisce.
Già, perché la Costituzione italiana, all'art. 48, afferma che «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età».
Aggiunge che il voto è personale (non può essere dato per delega da un rappresentante); eguale (ogni voto vale indipendentemente da chi l'ha dato); libero (nessuno può essere costretto a dare un voto diverso da quello voluto); segreto (a garanzia della libertà e per evitare indebite pressioni o ritorsioni).
Mi permetto anche di ricordare ai “baldi giovani”  che non sempre tutti i cittadini hanno potuto esercitare il diritto di voto: al momento dell'unità d'Italia, poteva votare soltanto chi possedeva un certo reddito (il 2% della popolazione); poi vennero esclusi gli analfabeti; dal 1919 il diritto di voto fu esteso a tutti gli uomini maggiorenni (suffragio universale maschile); il regime fascista, eccetto che all'inizio, non indisse più elezioni; soltanto nel 1946 ebbero il voto anche le donne.
E, infine, sull’elettorato passivo, all’art. 51, comma 1, la Costituzione aggiunge che « Tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere …  alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge…”.
E, almeno sino ad ora, per la legge non sono candidabilii condannati con sentenza passata in giudicato per gravi delitti, condannati per uno stesso reato non colposo a pena non inferiore a due anni o coloro sottoposti a misure definitive di prevenzione per reati di stampo mafioso”.
Ma, se venisse attuata la proposta, fra i non candidabili (e quindi anche non eleggibili) ci sarebbero i “vecchi” di 60 (o 70) anni ed oltre !

giovedì 17 maggio 2012

Spigolature sul capitalismo italiano secondo Romiti

Il “capitalismo”, definito da John Maynard Keynes  come "... la stupefacente credenza secondo la quale i peggiori uomini farebbero le peggiori cose per il gran bene di tutti", è  teorizzato, amato,  avversato  da moltissimi economisti ed è elemento di contrapposizione di molteplici, differenti ideologie politiche.
Tuttavia, nel bene e nel male (dipende dai punti di vista), il capitalismo è stato  il principale modello applicato nelle c.d. “democrazie occidentali” e nella Repubblica Italiana. 
Quindi, per chi come me  ha seguito con attenzione ed  interesse l’evoluzione economica, sociale e politica dell’Italia degli ultimi 50 anni, leggere la “Storia segreta del capitalismo Italiano”,  una lunga e strutturata intervista di Paolo Madron a Cesare Romiti (uno dei primi “manager-padroni”), è stato un vero piacere  ed ha significato una gradita (ma, a volte, anche amara) rievocazione di eventi, fatti e personaggi  del passato, remoto e prossimo. 
Confesso preliminarmente, per correttezza nei confronti di chi legge,  che non ho mai nutrito eccessiva simpatia per il quasi novantenne (è nato a Roma nel 1923) dirigente d’azienda: come uomo mi ha sempre trasmesso una immagine (sbagliata ? mah!) di forte arroganza. Ma è fuor di dubbio che, nel bene e nel male, Cesare Romiti è stato uno dei protagonisti della recente storia italiana.
Basti pensare alla sua strepitosa, quasi unica nel panorama italiano,  ascesa professionale.
Figlio di un impiegato postale, dopo la laurea in economia  conseguita  a 24 anni a Roma (nella storica sede di Piazza Fontanella Borghese, dove un ventennio dopo  ho studiato e mi sono laureato anche io), nel  1947 lavora per il Gruppo BPD, azienda di Colleferro dove  assumerà la carica di direttore generale. Nel 1968, sempre a Colleferro, ricopre la stessa carica nella Snia Viscosa dopo la fusione con la sua ex azienda. Nel 1970, su designazione IRI,  divenne direttore generale Alitalia. Entrato in Fiat nel 1974 ne è stato prima amministratore delegato e poi presidente. Ma non si è fermato qui: a 75 anni, nel 1998, ha assunto la presidenza di RCS, poi –dal 2005 al 2007- ha presieduto Impregilo e tuttora è presidente ed animatore della Fondazione Italia Cina, da Lui costituita nel 2004.

E’ tuttavia impossibile -almeno per me- sintetizzare organicamente un libro che racconta e ricorda molteplici eventi  italiani e cita ben  228  personaggi (più o meno illustri), per  208 dei quali vengono  proposte alcune righe biografiche in coda al volume.
Propongo  qui, quindi, solo alcune spigolature, “pillole”  -spero anche divertenti-   con giudizi (spesso dissacranti, delle vere e proprie “sassate”) e caratterizzazioni  tratte dalle 250 pagine del volume stampato  nell’aprile 2012 da Longanesi  (un successo: due edizioni nel mese di uscita), che io ho comprato in Libreria pagandolo il prezzo pieno -Euro 14,50- ma mi sono poi accorto che su Amazon (http://www.amazon.it/Storia-segreta-capitalismo-italiano-ebook/dp/B007RMQJEA ) si può acquistare a 9,99 Euro!
Ma andiamo al dunque.

Nella brillante ed acuta prefazione, Ferruccio de Bortoli afferma fra l’altro che:
·         Imprenditori e manager dell’ultima parte del secolo scorso hanno avuto grandi maestri, ma pochissimi allievi. Una generazione senza eredi. Solisti irripetibili convinti di succedere a se stessi, Hanno creato leggende, non scuole; miti, non eredità. Si sono persi in lotte personali anziché impegnarsi in grandi progetti di sviluppo.
·         Le famiglie imprenditoriali hanno lasciato il rischio per la rendita, speso molto nei palazzi delle loro vanità e poco nel creare nuovi prodotti e aprire nuovi mercati.
·         Il senso di appagamento ha annebbiato molte menti, distrutto patrimoni e filiere.
·         Fiat … quando nel 1988 soffiò l’Alfa Romeo alla Ford … non seppe valorizzarne il marchio. All’epoca Audi e BMW non avevano ancora conquistato le posizioni di mercato che oggi detengono. La svendita del “common rail”, brevetto italiano per  l’alimentazione diesel, fu un autentico peccato industriale.
·         L’Olivetti fece il primo personal computer, oggi non esiste più.
·         Cesare Romiti , … il vincitore della più aspra vertenza sindacale del dopoguerra, negli anni del terrorismo, ha mostrato un coraggio … che gli altri non ebbero. Se il nostro disgraziato Paese non avesse avuto, in quegli anni, uomini come lui –insieme ai Moro, i Berlinguer e i Lama- non si sarebbe salvato.
·         Enrico Cuccia non morì ricco … non fu un cultore cieco della creazione di valore e non condivideva le stock option.
·         L’Avvocato Agnelli  … incarnò  il mito dell’imprenditore cosmopolita e la sua famiglia prese il posto, nell’immaginario popolare, di quella reale italiana, …. non lasciò e non vendette in anni in cui altri l’avrebbero fatto , … aveva classe, anche nei difetti (non pochi), … fu troppo celebrato in vita ma il ritratto che se ne fa oggi … è quantomeno ingeneroso. Credo che non stimasse per nulla Berlusconi e il suo errore fu di sottovalutarlo e di trattarlo da “parvenu” (Persona di umili origini che si è arricchita rapidamente, ma conserva ancora mentalità e abitudini del ceto di provenienza).

Cesare Romiti, negli otto capitoli in cui è divisa l’intervista (Enrico Cuccia, genialità e modestia; Gianni Agnelli, un uomo di genio, cinico e spesso annoiato; Io e Carlo De Benedetti: due avversari necessari; La politica, tra prima e seconda repubblica; Quando i padroni litigano più dei politici; Non ci sono più le banche di una volta; L’epoca di mani pulite; Il Corriere della Sera, storie lontane …  storie vicine …; Il manager, tra avidità e divismo; Donne al potere, donne del potere; Il capitalismo e la politica dei Berlusconi)   si esprime fra l’altro su  queste persone, elencate da me in ordine alfabetico:
·         Gianni Agnelli aveva un grande fascino.  Era uno curioso e aveva una dote: leggeva immediatamente nella testa di chi aveva di fronte. Non aveva alcuna voglia di occuparsi di gestire l’azienda.  Aveva una grande fiducia nel modo di vedere e di fare di Cuccia. Voleva che lo informassi su tutto e su tutti. Aveva un grande ascendente sulle sorelle e un rapporto difficile col fratello Umberto. Edoardo aveva spesso discussioni col padre; l’Avvocato riteneva che non fosse adatto per lavorare in Fiat; quando Edoardo morì credo che suo padre (Gianni) abbia provato dolore insieme a un umano gesto di liberazione. Diceva: “Io non parlo di donne, io parlo con le donne”. Il suo principale nemico era la noia; era un cinico che si annoiava. Diceva: “Alle mogli bisogna dire poco o niente per salvaguardarle…”. Avrebbe voluto fare due mestieri: il diplomatico e il giornalista. L’esternazione della gratitudine non fa parte dello stile Agnelli.
·         Giulio Andreotti, un uomo molto cinico, abile nel muoversi e nel costruirsi una rete di conoscenze che, grazie anche alle formidabili aderenze in Vaticano, ne hanno cementato il blocco di potere; l’astuzia è la forma in cui si esprime la sua intelligenza. Cuccia mi raccontò di un incontro in cui Andreotti chiese se lo credeva corresponsabile dell’omicidio di Ambrosoli: dopo la risposta di Cuccia il colloquio terminò.
·         Enrico Berlinguer, era piccolino, pallido, smunto: il suo corpo si perdeva nel vestito; ha molti meriti, in primis quello di aver posto la questione morale, ma predicava bene e razzolava male visto che il PCI i soldi li prendeva dall’Unione Sovietica; un gigante rispetto a certi politici che gli sono succeduti.
·         Silvio Berlusconi. Sia Agnelli che Cuccia lo apprezzavano di più come imprenditore. Craxi lo considerava un bugiardo. Gioca sempre a sollecitare la pancia dei piccoli imprenditori. Deprecava il teatrino della politica, ma poi ne è stato un ottimo interprete. Ammalia con la sua tecnica seduttiva. La sua ambizione era di diventare il più grande editore italiano. Nel ’98 voleva che andassi a dirigere il suo gruppo. E’ l’esempio più eclatante di una sempre più accentuata personalizzazione della politica. Ha sempre privilegiato il consumo, anche per migliorare le condizioni di vita della gente, ma quando si supera un certo livello i consumi provocano la crisi e la povertà.
·         Giuseppe Ciarrapico, nella vertenza di Segrate, che oppose De Benedetti e Berlusconi per il controllo della Mondadori, fu mediatore nella forma,  ma nella sostanza la vicenda fu risolta dai politici, Giulio Andreotti in testa.
·         Bettino Craxi, era un prepotente, mi dava fastidio come ostentava la sua prepotenza; in privato sapeva anche essere simpatico; mi chiamò l’attendente di Agnelli; era un vero anticomunista. Rubava per il partito o anche per se stesso ? Se i soldi servivano al partito andavano al partito e se servivano a lui se li metteva in tasca, ma era comprensibile, identificava il partito con se stesso.
·         Enrico Cuccia, non comandava, ma parlava e convinceva; chi comanda è autoritario, chi convince è autorevole. Era machiavellico, il fine giustificava i mezzi.  Utilizzava i padroni in quanto necessari a ricostruire… Nutriva grande ammirazione per Gianni Agnelli, Enrico Mattei e Alberto Pirelli. Ha avuto molti nemici: Sindona, Schimberni, Gardini e Bazoli. Era abile nell’usare le persone senza guardare in faccia a nessuno. Con Andreotti non si sopportavano a vicenda. Non aveva fiducia nelle forze di polizia e poche nei magistrati;  considerava l’operazioni Mani Pulite dannosa per il Paese. A casa loro (dei Cuccia) si beveva il rosolio e la domenica andavano tutti a far colazione all’hotel Diana.
·         Di Massimo D’Alema mi fidavo poco e ancora oggi mi fido poco.
·         Carlo De Benedetti voleva “rivoltare la Fiat come un calzino”; secondo Carlo bisognava cacciare via quasi tutti i dirigenti, ciò gli creò una infinita serie di contrasti. Se ne andò perché aveva chiesto carta bianca senza però ottenerla. Io e Lui, per indole e visione del mondo, restiamo lontani mille miglia.
·         Diego Della Valle. Eravamo con un gruppo di imprenditori e gli dissi: “Come scarparo sei un imprenditore che desta ammirazione, ma come uomo fai solo schifo”.
·         Raul Gardini  era un vero e proprio imprenditore, uno che sapeva rischiare e all’occorrenza giocarsi tutto.  Personalità esuberante, estrosa, spesso spregiudicata. Sapeva tutto del sistema di dazione a politici e partiti. Il suo suicidio ? Il gesto di un uomo braccato, che si sentiva tradito da alcuni stretti collaboratori, che mai avrebbe accettato di farsi mettere in carcere dal pool di Milano.
·         Cesare Geronzi è stato un banchiere politico. Non ha mai gestito una banca operativamente. Faceva approvare dal CdA quello che lui aveva già deciso prima così da farla sembrare una decisione di tutti.
·         Raffaele Mattioli: il più grande banchiere italiano. Il miglior banchiere è colui che rischia il capitale sulla fiducia che l’imprenditore gli ispira, altro che Basilea 2 e tutti i ratios sul capitale. Oggi vedo ottimi funzionari di banca, ma pochi banchieri.
*.*.*
Ho tralasciato ovviamente moltissimi giudizi e ricordi di Romiti su istituzioni, fatti, personaggi e  storie più o meno segrete. Ho anche omesso di sintetizzare ciò  che Cesare Romiti dice di se, delle sue capacità, della sua vita professionale e privata (anche sulle sue tante donne) e quanto dallo stesso direttamente scritto nel capitolo di chiusura “una rivoluzione pacifica”.  
Ma mi illudo che ciò possa  rappresentare per Voi stimolo per passare alcune ore leggendo (gustandovi ?) l’originale.
*.*.*
Che dire in conclusione ? Emerge un quadro piacevole o desolante ? Mah!
Desidero solo chiudere adattando una frase di Carlo Levi: “Così questa donna (qui: l’Italia) si è fatta, …: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre.”

venerdì 11 maggio 2012

Passività latenti INPS.A pensar male si fa peccato ..

C’è una “passività latente” di enormi proporzioni che staziona, ben celata, sopra le teste di tutti gli italiani.
Oscilla, secondo miei calcoli semplificati, fra i 2.914,3 ed i 3.544,6 miliardi di Euro.
Per poter fare un confronto, si ricorda  che il PIL Italiano del 2011 è stimato in circa 1.600 miliardi di Euro e che il totale del debito pubblico è di 1.928 miliardi di Euro.
Trattasi quindi di un macigno di enormi proporzioni occultato con estrema cura e che, al contrario, da anni dovrebbe essere fatto pubblicamente emergere.
Di cosa si tratta ?
Della “riserva matematicadegli attuali pensionati che dovrebbe, da normativa vigente (ma sino ad ora inapplicata) entrare come  posta passiva nel bilancio tecnico dell’INPS.
Ma nessuno sa ufficialmente, almeno sino ad ora, a quanto ammonta.
Eppure il suo calcolo e la sua esposizione in bilancio, pur in un sistema "a ripartizione" quale è quello INPS, è una verifica tecnico-attuariale obbligatoria delle gestioni amministrate stabilita dal Consiglio di Amministrazione  dell’INPS con delibera n. 182 del 18 maggio 2005 (cfr. art. 124 e 125 del “Regolamento di Amministrazione e Contabilità” INPS, in  http://www.inps.it/AttiUfficiali/Atti/Allegato%20delib.%20n.%20172%20del%2018%20maggio%202005.pdf ) ma che, sino ad ora, non è stata mai attuata tanto da obbligare il Collegio Sindacale dell’INPS ad inserire –anche nella loro relazione al bilancio 2010  - specifici pressanti richiami agli Amministratori (… il Collegio rinnova l’invito all’Amministrazione a voler predisporre il Bilancio tecnico per tutte le gestioni ed i fondi amministrati, ed in via prioritaria, di quello del Fondo pensione lavoratori dipendenti, nonché di trasmettere gli aggiornamenti annuali richiamati nella parte generale della presente Relazione … pag 160 dei Bilanci 2010  -tomo I- in http://www.inps.it/bussola/VisualizzaDOC.aspx?sVirtualURL=/docallegati/Mig/Doc/Bilanci/repository/information/RendicontiGen2010/Rendiconti_generali_2010_Tomo_I.zip&iIDDalPortale=7639 )
Perché non viene fatto ?
E’ complesso il calcolo? Certamente.
Ma, forse, l’INPS fa “orecchie da mercante” soprattutto perché  potrebbe evidenziare un altro, enorme, “buco” italiano!
Spieghiamoci meglio.
Con la riforma Fornero,  fra l’altro, a partire dal 1° gennaio 2012, le anzianità contributive maturate dopo il 31 dicembre 2011 verranno calcolate per tutti i lavoratori con il sistema  contributivo (cfr. art. 24, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella la legge 22 dicembre 2011, n. 214, in  http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2011;201 ).
Ciò, in una sana gestione previdenziale, fra l’altro,  implicherebbe il passaggio al metodo di capitalizzazione in modo che i contributi versati all’INPS da inizio anno dovrebbero essere progressivamente accantonati ed essere restituiti, con gli interessi, per  costituire le future pensioni degli attuali lavoratori assicurati.
Entrate, quindi, vincolate ed intoccabili. 
Ma questo –purtroppo- solo in teoria perché  l’INPS con i contributi degli attuali attivi continua  (e quasi certamente continuerà) a pagarci mensilmente le rate delle oltre 18,3 milioni di pensioni ora in essere e mai passerà ad un sistema "a capitalizzazione" !
Perché  con i pensionati attuali l’INPS (e, quindi, lo Stato) si è impegnato a corrispondere una rendita mensile per tutta la vita.
E per  fronteggiare tali impegni (non correlati ad alcuna entrata attuale e futura), anziché consumare i contributi attuali (distogliendoli – a mio parere surrettiziamente- alla loro naturale destinazione, cioè per legge alle future pensioni di chi oggi lavora), la tecnica assicurativa ci dice che dovrebbe essere costituito un apposito fondo, denominato “riserva matematica”,  calcolato secondo precise regole attuariali, che coniugano la variabili demografiche e finanziarie.
Per farla semplice (ma, ahimè, egualmente drammatica) e andare al dunque, tale Fondo potrebbe  appunto oscillare fra i 2.914,3 ed i 3.544,6 miliardi di Euro richiamati in apertura di questo post.
Ma il Fondo non esiste ne viene calcolato perchè si adotta il "sistema a ripartizione" ed i figli e i nipoti pagano ora e pagheranno in futuro le pensioni di genitori e nonni !
Ma quelli forniti sono numeri da giocare al lotto ?
No, numeri non precisissimi ma in grado di evidenziare il problema e darne una, seppur approssimata,  dimensione.
Come si è arrivati a questa cifra ?
Abbastanza facilmente, ma ovviamente con molte approssimazioni.
Innanzitutto, considerando che in un rapporto reso noto il 26 aprile u.s., l’INPS e l’Istat ci informano:
  1. che  la spesa per prestazioni pensionistiche è stata, nel 2010, pari a 258,5 miliardi di Euro;
  2. che il 3,5 per cento dei pensionati italiani ha meno di 40 anni, che il 29,1% ha un'età inferiore ai 65 anni e che il 70,9% dei percettori di pensione ha più di 64 anni e che quindi, assumendo l’ipotesi di una equidistribuzione all’interno di tali fasce di età, il pensionato italiano ha una età media all’incirca pari a 65 anni e 8 mesi.
Poi, è stato riscontrato dalle più recenti rilevazioni demografiche  Istat che la speranza di vita del nostro pensionato medio italiano, come sopra individuato, è  pari a  17,1 anni (vita media futura di un maschio di 66 anni; le femmine hanno una speranza di vita superiore di circa 5 anni quindi il dato sottostima la realtà).
 Da queste informazioni elementari si può ottenere facilmente (258,5 x 17,1) la somma del costo pensionistico futuro, statisticamente certo, degli attuali pensionati INPS : 4.420,35 miliardi di Euro (cioè 2,8 volte il PIL di un anno e 2,3 volte il debito pubblico).
Ma queste sono le uscite future e  non  la “riserva  matematica”, cioè quella somma che dovrebbe essere accantonata e che, impiegata ad un certo tasso di rendimento, dovrebbe esser sufficiente per far fronte al pagamento delle 13 mensilità annuali a chi non lavora più per tutto il resto della vita.
 Per stimare la riserva, sono stati quindi scelti ed utilizzati due tassi di interesse: il 2,5% a cui si avvicina l’attuale “euribor” a 20 anni (cfr: http://www.euribor.it/) ed un più ottimistico, ma probabilmente irrealistico,  5%.
 Operando infine sul “pensionato medio” (65,8 anni, speranza di vita 17,1 anni) sopra individuato e considerando fermo l’esborso annuo attuale (258,5 miliardi di Euro), con le ovvie semplificazioni (e quindi conseguenti approssimazioni) si giunge a definire in :
  • 2.914,3 miliardi di Euro la riserva matematica dei pensionati italiani nell’ipotesi di un tasso del 5%
  • 3.544,6 miliardi di Euro la riserva matematica dei pensionati italiani nell’ipotesi di un tasso del 2,5%.
Riserva, lo ribadiamo, che costituisce solo una passività, perché non bilanciata da correlate attività, del bilancio tecnico delle gestioni pensionistiche che l’INPS dovrebbe calcolare e render pubblica da ben 7 anni.
Ma non lo ha ancora fatto. Perché ?
A pensar male si fa peccato ma spesso si indovina. O no ?

venerdì 4 maggio 2012

I numeri e la realtà


Viviamo  veramente in uno strano Paese.
Per tentare di allontanare l’Italia  dal baratro del fallimento  siamo necessariamente chiamati a compiere degli importanti sacrifici.
Una cura,  drastica e dolorosa, quasi certamente necessaria per evitare guai molto, ma molto, peggiori.
E che succede ?  Di tutto e di più.
C’è, ad esempio,  chi assalta le sedi dell’Agenzia delle Entrate, chi addita Equitalia come  un pericoloso boia che ingrassa in continuazione le corde per impiccare innocenti ed onesti cittadini …
Ma dobbiamo, sempre ad esempio, anche vedere molti  Sindaci, alcuni ex Ministri, Parlamentari di governo e di opposizione  che “remano contro” con grande frastuono:  si pongono alla guida di improbabili rivolte fiscali, incitano –in buona sostanza - all’evasione e, più in generale, al non rispetto delle leggi dello Stato.
Mettono, cioè, il classico “bastone fra le ruote” al Manovratore (che non è un politico di professione) con l’unico probabile obiettivo di cavalcare il malcontento (peraltro a volte  legittimo) che è presente in larghe fasce della popolazione.
Fanno bene, perché lo fanno?  Probabilmente –ma è una mia personale opinione- solo per ottenere qualche beneficio elettorale.
Ma mi sembra che nessuno (o forse pochissimi) si ferma(no) un attimo a riflettere: se siamo in questa condizione a chi lo dobbiamo ?
Osserviamo il macigno che ci sta trascinando a fondo,  l’abnorme debito pubblico e cerchiamo di capire chi lo ha generato.
 In risposta ad un commento sul precedente post (http://avanzidicervello.blogspot.it/2012/04/deficit-continui-o-obbligo-di-pareggio.html#comment-form ) osservavo che … “se datiamo idealmente l’inizio della c.d. “seconda Repubblica” al 1-1- 1994 ed osserviamo l’evoluzione del nostro debito pubblico negli ultimi 19 anni si registra un sonoro (drammatico) raddoppio! A fine 1993, secondo la ricostruzione storica di Bankit che ho citato nel post, eravamo a 959.713,50 milioni di Euro mentre ora siamo a 1.928.211, un aumento appunto del 100,9% !
Approfondiamo un pò di più e cerchiamo di capire a chi, Presidenti del Consiglio e Ministri del Tesoro e/o dell’Economia,  dovremmo probabilmente dire “grazie”.
Se partiamo con la nostra analisi qualche mese dopo la data sopra indicata, e cioè dall’inizio della  XII Legislatura (quindi con il parlamento uscito dalle  elezioni politiche il 27 marzo 1994), e più precisamente con il I^ Governo Berlusconi, in carica dal 10 maggio 1994 e chiudiamo con l’ultimo giorno del IV^ Governo Berlusconi (16 novembre 2011), registriamo la successione di 10 Presidenti del Consiglio e l’alternanza di 12 Ministri del Tesoro/Economia (cfr. http://www.governo.it/Governo/Governi/governi.html ).
In realtà, se consideriamo  le  persone fisiche, notiamo che i Presidenti del Consiglio sono stati solo 5 e che i Ministri del Tesoro/Economia sono 7.
Eccoli, in ordine decrescente di giorni di governo, e con l’incremento del debito pubblico generato sotto la loro “guida”.
Presidenti del Consiglio
In carica per
Ministri del Tesoro/Economia
Aumento, in valore assoluto, del debito pubblico
(in milioni di Euro)
n. mandati
n. giorni
Silvio Berlusconi
4
3.342
G. Tremonti; D. Siniscalco
       565.018,05

Romano Prodi
2
1.607
C.A. Ciampi; T. Padoa Schioppa
       155.854,03

Massimo D’Alema
2
552
C.A. Ciampi; G. Amato
         42.140,00

Lamberto Dini
1
486
L. Dini (interim)
       100.751,44

Giuliano Amato
1
412
V. Visco
         36.232,00


Chiarisco che l’aumento del debito è stato da me calcolato quale differenza fra l’ammontare della esposizione debitoria italiana alla fine dei mesi di inizio e termine dei rispettivi governi. I dati di base sono quelli ufficiali, resi pubblici da Banca d’Italia in  http://bip.bancaditalia.it/4972unix/homebipentry.htm?dadove=stor&lang=ita.
Alcune semplici elaborazioni su tale base di dati portano a mostrare queste ulteriori, a mio parere molto interessanti, informazioni:
Presidenti del Consiglio
in carica per
Aumento, in valore assoluto, del debito pubblico

n. giorni
In percentuale sul totale
in milioni di Euro
In percentuale sul totale
Silvio Berlusconi
3.342
52,23%
       565.018,05

62,78%
Romano Prodi
1.607
25,11%
       155.854,03

17,32%
Massimo D’Alema
552
8,63%
         42.140,00

4,68%
Lamberto Dini
486
7,59%
       100.751,44

11,19%
Giuliano Amato
412
6,44
         36.232,00

4,03%
Totale
6.399
100,00%
       899.995,53

100,00%

Le differenze che emergono fra tempo di permanenza al governo e entità dell’aumento del debito generato sembrano evidenti.
Ma ecco  l’ultima “chicca” che può forse soddisfare ulteriori  curiosità.
In ogni giorno di guida dell’Italia i  Presidenti del Consiglio della 2^ repubblica di quanto hanno fatto aumentare il debito pubblico ?
Et voilà,  ecco la graduatoria in ordine crescente di debito generato:

Rank
Presidente del Consiglio
Debito pubblico generato (in milioni di Euro) ogni giorno di permanenza in carica
1
Massimo D’Alema
  76,34
2
Giuliano Amato
€ 87,94
3
Romano Prodi
€ 96,98
4
Silvio Berlusconi
€ 169,07
5
Lamberto Dini
  207,31

Conclusioni, giudizi ?
Poiché ognuno di noi normalmente filtra le informazioni attraverso un autonomo sistema di valori, influenzato anche da simpatie politiche e convinzioni economiche e sociali, lascio a ciascun lettore di trarre le conseguenze.
Certo, a volte i numeri possono anche assomigliare a pietre.
A me piace comunque concludere ricordando questo pensiero tratto dalla “Metaphisica” di Aristotele:
“Il numero misura la realtà e permette di penetrarne il significato”